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Il “mare dabbasso”

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Riviviamo, grazie alla rubrica Zona Blu, alcune delle coinvolgenti storie dei Subacquei civitavecchiesi

Riprendiamo in questa rubrica, che sta appassionando tante persone, il racconto del rapporto dei Civitavecchiesi con il loro splendido mare. Abbiamo ricordato le gesta dei Palombari e sottolineato come i più anziani ribadissero che a Civitavecchia

i bambini imparassero prima a nuotare e poi a camminare, in un rapporto con l’acqua intenso, fisico e magico. Immergersi significa partecipare ad un mondo diverso da quello che sperimentiamo quotidianamente, non ci si limita ad osservare una dimensione diversa o a pescare qualche pesce. L’immersione ti segue, lascia il suo passaggio nel tuo corpo e nella tua mente. Segna i ricordi e le emozioni mentre il fisico prima si adatta a delle condizioni così diverse da quelle solite e poi ti ricorda che sei stato per qualche minuto un essere marino. Una magia che diviene traccia antropologica nei tanti miti mediterranei che cantano la straordinaria strada percorsa dall’uomo per partecipare, attraverso il mare, all’integrità della sua vera natura. Ma veniamo a noi ed alle coinvolgenti storie dei Subacquei della città. Per forza di cose dovrò, in questa sede, limitarmi ad alcuni nomi rispetto alla infinita schiera dei concittadini che hanno amato ed amano perdersi in quell’azzurro orizzonte. E dovremo incontrarci più volte per poter avere un quadro appena delineato dell’importanza del fenomeno.
Senza dubbio l’approccio al mare iniziava per integrare le scarse diete di quegli anni difficili o per mettere insieme “la giornata”. Eppure, le sensazioni d’infinito e di assoluta libertà mi sono state più volte narrate anche dai più anziani. Ci si recava al “Turco” o alla “Marina” per rimediare un po’ di rugole, da mangiare impanate, o per pescare qualche polpo che si era rifugiato nei bassi fondali della costa. Lo stesso Cialdi ci rammenta come il “mare dabbasso”, una piccola insenatura posta vicino il forte, fosse particolarmente caro ai cittadini che li si recavano per mangiare quei ricci oggi praticamente scomparsi. 
La ricostruzione di questa tradizione parte dal secondo dopoguerra; per ciò che concerne il prima non mi è stato possibile trovare delle testimonianze sicure. I nomi più ricorrenti tra questi pionieri, sono quelli di Pietro Anzuinelli, Sandro Foschi, Renzo Vercesi dei fratelli Appetecchi, testimoni di un mare nel quale le spigole andavano a depositare le uova in venti centimetri d’acqua o dormivano all’ombra delle barche ormeggiate. Alcuni si organizzano in Associazioni quali lo “Squalo Club” al quale partecipano Alberto De Giovanni, Angelo De Fraia, Ivano Feligioni e tanti altri, mentre altri ancora s’incontrano alla Frasca, luogo tanto caro a tutti noi, che è descritta come uno straordinario acquario naturale. Qui, Roberto Salerni, Rolando Onorati, i fratelli Mario ed Ennio Foschi e poi Franco Zampolini - amico e maestro del futuro Campione del mondo Fabio Antonini - Massimo Martini, Roberto Umbertazzo Claudio Rossi ed il fido barcaiolo Renzo Marconi frequentano assiduamente quel tratto di mare. Una forte passione, la loro, che ha imposto il prezzo più alto con alcuni Subacquei che hanno perduto la vita traditi dai delicati meccanismi dell’apnea. Ed è anche a loro che dovremmo dedicare il nostro impegno nella difesa  di un patrimonio unico. Alla prossima…

Nella foto gentilmente concessa: Roberto Salerni (a sinistra) ed Ennio Foschi

1. continua

Link ad una delle puntate d Zona Blu correlate alla presente:

https://www.lacivettadicivitavecchia.it/cultura-2/13335-il-vagheggiato-sogno-dell-uomo-delfino

 

 

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