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Il vagheggiato sogno dell'uomo delfino

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Sergio Anelli intervista il Professor Renato Solinas, che ci accompagna nel mondo dell'ipnosi

Facendo ideale seguito a quanto pubblicato mercoledì scorso (“Oltre l’apnea”, che potete rileggere o leggere per la prima volta cliccando il link in calce a questa puntata di Zona Blu),

riportiamo qui di seguito l’intervista del nostro Sergio Anelli al Professor Renato Solinas. 

Renato, cos’è l’ipnosi e come ti sei avvicinato ad essa?

L’ipnosi è uno stato di coscienza “altro”, certamente diverso da quello che noi utilizziamo nel quotidiano. Possiamo quindi definirlo un diverso modo di essere consapevoli. Rispetto ai due stati che tutti sperimentiamo normalmente - che sono quelli di veglia e sonno - lo stato di coscienza ipnotico si pone oltre i due precedenti. I ritmi celebrali dello stato ipnotico sono, in verità, illuminanti nel  definire il “diverso” stato. Infatti mentre in quello cosciente le onde cerebrali, molto ravvicinate, seguono un ritmo Beta, nello stato di relax o di meditazione, come nello yoga,  esse assumono un andamento Delta, più distanziato, che diviene Sigma durante il sonno. La lunghezza d’onda delle onde cerebrali durante la pratica ipnotica risponde invece ad un ritmo Teta, assolutamente diverso dai precedenti, ribadendo, dunque, la particolarità della condizione. All’ipnosi sono arrivato giovanissimo, a diciassette anni, leggendo un libro da bancarella. La teoria trovò rapida applicazione tra gli amici che, volentieri, si sottoponevano agli “esperimenti”. Uno di loro rispondeva molto positivamente alla mia azione e questo mi incoraggiò a proseguire.

Mi hai più volte ribadito come l’ipnosi non sia un fine ma un mezzo, utilizzato anche come chiave d’accesso per  le zone inconsce dell’individuo;

Assolutamente si, negli lunghi anni nei quali ho praticato psicoterapia ho sempre sottolineato alle persone che si avvicinavano a questa disciplina, che l’ipnosi è soltanto uno strumento. Uno strumento che apre una porta su un mondo nel quale si opera con un linguaggio adeguato e mirato alla nuova dimensione, quella inconscia dell’uomo.

Sai Renato, mi chiedo da sempre, e quindi ti giro la mia sensazione, se il mare possa essere considerato una sorta di sconfinato archivio di miti, riti, leggende, conoscenze, emozioni e quindi, in ultima analisi, una sorta di inconscio collettivo dell’intera umanità;   

Ne sono convinto, al punto  da utilizzare spesso nella fase induttiva delle visioni che riguardano il mare. Ad esempio, il tramonto del sole nel mare diventa simbolo della lenta perdita di coscienza favorendo l’ingresso nella trance del paziente.

Entriamo, ora, nello specifico e spiegami come hai utilizzato l’ipnosi sugli atleti che si immergono in apnea, nell’esperienza di un nostro comune amico avevi individuato tre momenti di stress che limitavano le prestazioni e che erano rappresentati dalla discesa in acque torbide, dalla paura degli squali e dal il superamento della “barriera” dei trenta metri;

Ho lavorato a lungo con persone che praticavano immersioni sia in apnea sia con attrezzature specifiche. Perché al di là del modo di scendere in acqua, l’essere immersi in mare può sempre indurre dei motivi di ansia, non siamo nel nostro elemento, e questo può provocare uno stress molto forte. Nonostante le nostre origini marine e nonostante l’essere rimasti per nove mesi nel liquido amniotico, l’immersione in profondità risulta spesso un’esperienza inquietante che ci porta in una zona di confine della coscienza e della consapevolezza. Queste sensazioni negative si amplificano, naturalmente, in caso di scarsa visibilità. La tensione dell’immersione, sommata a quella della gara, evoca delle paure inconsce che si concretizzano in una sensazione di perdita di controllo della situazione. Il non controllo e la difficoltà del vedere porta alla superficie della coscienza quei “mostri” con i quali tutti noi conviviamo. La paura che consegue a questa perdita di controllo innesca un ritmo tachicardico del cuore che può indurre un repentino affanno, con un maggior consumo di ossigeno che si traduce in una frequente necessità di riemergere, per soddisfare la “fame d’aria”, ed una conseguente perdita nelle prestazioni sportive.

L’ansia generata da queste situazioni, limita anche la maggiore durata dell’apnea dovuta al “riflesso da immersione” presente in tutti i mammiferi?

In ogni persona, come in ogni mammifero, le cui vie aeree si trovino coperte da uno strato d’acqua che impedisce la normale respirazione si scatena un riflesso, grazie al quale il corpo si predispone a preservare le sue riserve di ossigeno. Le terminazioni del nervo trigemino, presenti intorno alle labbra, inviano un segnale che favorisce un ritmo brachicardico della circolazione. Il consumo di ossigeno è cosi ottimizzato e la durata dell’apnea prolungata. Come appena ricordato, l’insorgere di uno stato d’ansia muta la brachicardia in tachicardia sovvertendo tutti i meccanismi di “difesa” della persona immersa. 

Esiste una differenza tra la pratica dell’ipnosi e l’uso dello yoga, utilizzato ad esempio da J. Mayol che praticava le antiche tecniche del pranayama, sempre in relazione alla durata dell’apnea?

Certo, benché anche lo Yoga venga utilizzato per ricercare una condizione di rilassamento e di controllo, tanto da mutare la lunghezza d’onda delle onde cerebrali, questa tecnica tuttavia fa riferimento allo stato cosciente. Con l’ipnosi entriamo in una sfera molto più profonda attivando delle capacità e delle forze che non sospettiamo di avere. L’atleta che affronta delle condizioni nuove e sconosciute fatte di fondali diversi, presenza di squali, alta profondità può fare appello a tali sopite risorse che l’ipnosi riesce a sollecitare tramite una sorta di condizionamento. In particolare un atleta, impegnato in una gara in Australia, ha potuto condurre la sua gara pescando per ore in una barriera ricca di squali, nel massimo controllo di se stesso.

Leggendo Mircea Eliade, noto antropologo e storico delle religioni di origine rumena, mi ha colpito come in talune trance sciamaniche, chiaramente indotte, avvenisse un totale transfert tra il soggetto ed un animale prescelto. Hai mai applicato questo principio nella tua pratica?

Si spesso. In particolare, proprio nel caso del nostro amico che aveva timore di dover gareggiare in una località infestata dagli squali, il condizionamento indotto era stato quello di fallo identificare con un delfino. Il delfino combatte ed allontana, o uccide, gli squali e quindi questo transfert gli infondeva sicurezza. Fabio, quando era fermo all’aspetto con gli squali che gli giravano attorno, doveva ripetere, come un mantra,  a se stesso “io sono un uomo delfino”. Ed i risultati sono puntualmente arrivati.

Quindi tu hai attivato degli archetipi, dei modelli, che fanno già parte del nostro bagaglio inconscio?

E l’unico modo per superare questi ostacoli. Questo metodo non è, nel senso  più stretto del termine, scientifico. Ma funziona, e funziona perché noi non siamo costituiti dalla sola razionalità e perché la scienza non spiega tutto. Ci sono aspetti che trascendono i confini della scienza. Noi, ormai, siamo dotati di una “ipercoscienza” che risulta essere uno strumento eccezionale per interagire con l’ambiente circostante e quindi per decodificare la realtà ma che, allo stesso tempo, ci allontana dalla nostra vera natura, dal nostro inconscio e dalla nostra capacità creativa.

Gli antichi miti del Mediterraneo, quello di Dioniso che trasforma i marinai in delfini e quello molto più recente di Colapesce, così puntualmente reso dal Pitrè nella sua opera di raccolta e conservazione della tradizione orale siciliana, nel quale un ragazzo che ama il mare si trasforma in un uomo-pesce, cosa ci vogliono trasmettere?

Credo che ci vogliano cripticamente indicare le segrete, ma da taluni conosciute, capacità dell’uomo inteso nella totalità della sua natura. Abbassando la soglia della coscienza, e realizzando questa metamorfosi interiore, l’uomo entra  in contatto con queste sue dimenticate caratteristiche e con delle possibilità, che quantunque considerate extra fisiche, gli appartengono.

Ma questa impostazione di indagine non può essere bersaglio di un facile scetticismo?

Si, sicuramente, ma io sfido chiunque a dimostrarmi il contrario. In questo modo affascinante Renato ci ha accompagnato in una dimensione extra fisica dell’immergersi in apnea che, in questa ottica,  diviene una modalità di esplorazione dei nostri territori meno conosciuti. Non mi resta che ricordare velocemente lo straordinario adattamento del nostro corpo alle sollecitazioni dell’immersione. Esami condotti dapprima su Enzo Maiorca, poi su Jacques Majol e da ultimo su Umberto Pellizzari hanno dimostrato come avvenga, man mano che si affonda nel blu, un rallentamento dei battiti cardiaci, Pellizzari a meno cento metri contava otto battiti al minuto, ed uno spostamento del sangue dalle zone periferiche verso il cuore ed i polmoni. Il sangue essendo un liquido, quindi incomprimibile, si sistema a difesa delle zone vitali del nostro fisico compensando così le enormi pressioni delle profondità in un adeguamento che prefigura una sorta di metamorfosi verso il vagheggiato sogno dell’uomo delfino.

2- Fine

Puntata precedente: https://www.lacivettadicivitavecchia.it/cultura-2/13319-oltre-l-apnea

Foto gentilmente concessa

 

 

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