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Il loro fu un lavoro duro e pericoloso

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Orgoglio civitavecchiese negli emozionanti racconti dei nostri Palombari

C’eravamo lasciati con il racconto delle imprese del primo dei Palombari di Civitavecchia, Pietro Pardi, sottolineando come questi fosse l’iniziatore di una gloriosa tradizione. Un importante contributo a questa tradizione fu fornita da Palombari di origine campana

che, trapiantati nella nostra città, si adoperarono nei lavori per la ricostruzione dell’Antemurale - gravemente danneggiato dalla burrasca del 1902 - ed in varie altre attività.

Tra questi non possiamo non nominare Nicola Paolillo, che partecipò ai lavori di chiusura della bocca di levante. Venne poi la guerra, con tutto il suo carico di lutti e distruzioni. Civitavecchia fu bombardata ottantasette volte e molti Palombari convennero nelle acque del Porto per recuperare le navi affondate e porre le basi delle nuove banchine. Venne all’uopo costituita la Cooperativa che portava i nomi di due martiri delle fosse Ardeatine “Mascherpa e Campioni”, della quale facevano parte alcuni Palombari civitavecchiesi tra i quali Eros Paleani. Si trattò, come sempre, di un lavoro duro e pericoloso durante il quale un Palombaro di Livorno fu travolto dalle lamiere di uno dei relitti e fortunosamente salvato. Gli eventi bellici avevano lasciato traccia di sé nel Porto e verso il suo ingresso con la presenza di vari fusti di un pericoloso aggressivo chimico, l’iprite.

Una letale arma fu individuata da un altro famoso Palombaro della città, Sabatino Cianfrini. Ebbi la fortuna di parlare con lui, ormai tanti anni fa, nei locali della Compagnia Roma e quest’anziano signore, oltre a ricordarmi i suoi recuperi di ogni sorta di ordigno affondato nei pressi della “Mattonara”, mi raccontò dell’altro. Mi parlò, mentre i suoi occhi si accendevano di una luce brillantissima, delle meraviglie del suo mare, di fondali ricchi di pesce e corallo, di luoghi segreti, che, infatti, non mi rivelò, ricolmi di antichi avanzi e del suo orgoglio di appartenere a una sorta di elite operaia. Così si espresse, raccomandandomi anche di trasmettere a tutti quanto incredibilmente bello fosse il mare di Civitavecchia, come egli faceva ogni volta che si recava per lavoro fuori città.  Fu, questa, un’intervista che mi emozionò lasciandomi un segno indelebile. Il senso di appartenenza alla comunità, l’orgoglio per il suo lavoro, la volontà di diffondere e sottolineare le sconosciute bellezze della nostra città mi colpirono profondamente e, debbo dire, raramente mi capitò  di incontrare di nuovo  tali sentimenti.

Altro grande nome legato a questa tradizione è quello di Alberto Baghini, brevettato Palombaro presso l’Accademia di Livorno, reparto armi subacquee nel 1934. I limiti di un articolo non possono rendere giustizia di tutte le fatiche sostenute dal nostro. Ne ricordiamo alcune, tra le quali spiccano gli interventi sulle navi che rientravano in Porto danneggiate dagli eventi di guerra, il recupero di grandi quantità di carbone che, caduto in acqua durante la discarica, giaceva sui fondali, l’intervento sulla carena della nave “Lilica” che lo costrinse in acqua otto ore al giorno per tutto il mese di dicembre nel 1951. Anch’egli partecipò alla bonifica degli innumerevoli ordigni che, nel dopoguerra, ingombravano le acque della città. E poi, tanti piccoli gesti che accomunavano tutti i Palombari: il segno della croce prima di scendere, la pulizia dell’oblo del casco con una cicca di sigaretta per non farlo appannare, il berretto di lana per azionare, senza irritarsi la pelle, la valvola di scarico dell’aria.

Un altro noto palombaro, Raffaele Accardo. Formatosi anch’egli nella Scuola della Marina Militare ed insignito del brevetto n° 114 quindi tra i primissimi in Italia, si guadagna in guerra la Croce al merito di guerra. Eppure - mi racconta il figlio Franco - delle sue esperienze belliche parlava malvolentieri e raramente. Accorse, nell’estate del 1945, presso le acque di Montalto dove il peschereccio del padre era esploso  dopo aver recuperato un mina con le reti. La sua affannosa e terribile ricerca non gli permise, tuttavia, di recuperare il corpo del genitore e dopo questo evento così infausto non volle più immergersi. Ricordarlo mi offre un’emozione  particolare perché egli fu a lungo amico di mio nonno materno, Rodolfo, e di mio zio Mario. Per anni essi condivisero interminabili partite a “picchetto” con Oreste Arciprete e Cencio Parisi ed io amo credere che quattro risate e un bicchiere di vino servissero a tutti loro a esorcizzare tanti dolorosi ricordi. Così in questa ricerca c’è anche del personale; ma non è questo essere un comunità?

2 - continua

Nella foto (sulla barca): Baghini, Del Monte e Canfrini

Link alla prima puntata: https://www.lacivettadicivitavecchia.it/cultura-2/13444-le-teste-di-rame-della-nostra-citta

 

 

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