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Le “teste di rame” della nostra città

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Tradizione che ha radici profonde, quella dei Palombari di Civitavecchia

Una tappa fondamentale nel racconto del legame che unisce inscindibilmente i Civitavecchiesi ed il loro mare, è la storia delle “teste di rame” della città. Con meraviglia, nel corso delle ricerche condotte al fine di offrire un contesto credibile a queste vicende,

scoprii che la prima attrezzatura che rendeva un uomo in grado di respirare ed operare in immersione venne usata nelle acque del nostro Porto.

Nel 1535, infatti, Francesco De Marchi, incaricato di recuperare la Nave del lago di Nemi, ove allora era conosciuta la presenza di un solo scafo, si reca a Civitavecchia dove Guglielmo da Lorena stava recuperando i resti di una galera affondata. Egli scrive: “maestro Guglielmo s’affondò presso il porto di Civitavecchia dove s’era affondata una Galera, e luo attacò corde all’artiglieria, e si recuperò e seppe dire dove era rotta la galera”. E’ la prima testimonianza, storicamente documentata, di un’immersione effettuata con l’uso di un casco “aperto”. Tra l’altro, c’è un rapporto particolarmente stretto - come scopriremo insieme - tra le due navi imperiali e i nostri Palombari. Certo, occorrerà che il passare dei secoli e l’ovvia evoluzione tecnica permetta agli uomini di scendere più profondamente e con una maggiore sicurezza; anche se all’epoca immergersi era un’attività per pochi, un’impresa da eletti.

Nel 1879 arriva in città Pietro Pardi, di origine toscana. Egli si adopera dapprima nei lavori all’interno del Porto - escavi dei fondali costruzione di moli etc - poi nella riparazione di navi danneggiate. Suo è il recupero della famosa nave “Linda” naufragata sulla bocca di Levante. Il Pardi acquisisce negli anni tanta fama da essere contattato da Eliseo Borghi per intervenire appunto sulla nave romana di Nemi. Immersosi nel lago il 14 ottobre 1895, rinviene subito il relitto e scopre un primo bronzo - il celeberrimo anello d’ormeggio a forma di testa di lupo - seguito da una serie di meraviglie che sono oggi raffigurate su tutti i testi di storia dell’arte. Non solo, oltre agli innumerevoli reperti che recupera, il 20 novembre trova la seconda nave della cui scoperta ha il merito esclusivo.

Questo abile quanto noto Palombaro concittadino aveva un’altra caratteristica, testimoniata dalla sua famiglia. Egli era uso ripetere che non si potevano progettare i moli frangiflutti sul tavolo da disegno ma che fosse indispensabile scendere in acqua e studiare “de visu” l’andamento delle correnti. Occorreva “sentire” il mare e a tal fine, il nostro si sedeva per ore, sfinendo gli Assistenti addetti al compressore, su uno scoglio particolare, sito dinanzi il costruendo antemurale, per osservare la direzione e la forza dei flutti. I non pochi Ingegneri che, dopo una sommaria istruzione, scesero in acqua con lui non poterono che avallare le sue indicazioni. A un così straordinario uomo di mare la città dedicò, alcuni anni or sono, una Via del centro. Pietro Pardi fu l’antesignano di una lunga tradizione che nella nostra città ha radici profonde. Una tradizione che riscopriremo insieme su queste pagine.

1 - continua

Al centro della foto, tratta dall'archivio di famiglia: il nostro concittadino Pietro Pardi

 

 

 

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