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così avrebbe potuto vincere definitivamente la guerra ed inoltre avere un importante punto strategico da cui partire, percorrendo la via del mare, per portare le sue forze militari in Sicilia. Non esitò a raggiungere con il suo esercito Centocelle, dove si accampò lungo le mura come preludio dello scontro. Preferiva uno scontro all’aperto, ma non fu accontentato dagli autoctoni che, al contrario, decisero bene di non lasciare sguarnita la cittadina; tentò ripetutamente di persuadere gli assediati a scendere a patti, accogliendoli tra le sue schiere oppure avrebbe concesso loro di far ritorno nella loro patria. Di risposta, Diogene al comando degli esuli romani, rifiutò l’invito di Totila a causa dell’impossibilità dell’unione con il nemico Ostrogoto, sarebbe stata intollerabile la vita, divisa dalle loro originarie famiglie. Preferirono una tregua, il tempo di rendere noto all’Imperatore Giustiniano la situazione andatasi a creare, nel caso in cui non avessero ricevuto soccorso nei tempi stabiliti, avrebbero dovuto consegnare al Re la cittadina. Furono sottoscritti questi patti, consegnati sia ad uno schieramento che all’altro trenta ostaggi, e Totila tolse il disturbo per portare la guerra in Sicilia. Nel frattempo, Giustiniano vedendo la situazione rovesciarsi, quasi sul punto di perdere l’Italia, pensò bene di riprendere la guerra, incaricando così suo nipote Germano allora nominato capitano eccellente. La notizia si divulgò a macchia d’olio e rincuorò gli imperiali che erano sul punto di soggiacere sotto il nemico. Quando arrivò il giorno stabilito della resa dei conti, Totila inviò alcuni dei suoi messi a Diogene per ottenere la consegna della città e, di rimando, il capitano rispose che lui “non poteva più farlo, poiché tutti dicevano essere imminente l’arrivo di Germano, che doveva essere l’arbitro della guerra, e che menava seco esercito assai più numeroso che gli assediati non avessero mai sperato”. Alla scoperta di tale notizia, furono restituiti i rispettivi ostaggi, Diogene rafforzò la difesa in attesa dei rinforzi. Le cose non andarono per il verso previsto, poiché all’inizio dell’550 Germano morì senza riuscire a raggiungere l’Italia ed il suo esercito si fermò in Dalmazia. L’armata navale, al cui comando fu posto Artabano, si disperse nella tempesta, quando era vicino la costa della Calabria e tutta l’Italia, ad esclusione di Ravenna, Centocelle e qualche altra città, era nel potere di Totila, il quale non tardò a completare il suo scacchiere di domino sul territorio italico (551-552) che rimase intatto per molti anni a seguire.
(Parte Seconda)
Alcune informazioni sono state tratte dall’opera di Carlo Calisse “Storia di Civitavecchia”, Vol. I, Atesa Editrice, Bologna 1983, Cap.IV, pp.44-47, Parte I. Fonte foto: http://en.wikipedia.org/wiki/File:Francesco_Salviati_--Portrait_of_Totila,_c._1549.jpg (F.Salviati, “Ritratto di Totila”, 1549, tela, conservato nella Pinacoteca Civica di Como, Sez. Rinascimento).
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