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Ed in uno di tali accordi, che citiamo a chiaro esempio, era previsto che, un certo Donato, ricevendo alcune terre di Santa Maria al Mignone, fosse appunto obbligato al controllo delle medesime. Questa è la formula grazie alla quale viene concordato quanto detto <<si necesse fuerit guaitas ad mare faciamus>>. I contratti di norma erano a lungo termine e con canone, almeno all’inizio, assai tenue. Come nel caso di Acerisio, figlio di Sindruda, che prese in locazione per la durata di 29 anni alcune terre deserte, per lavorare le stesse e pagare annualmente 18 denari (anno 920). Il nome del contraente e quello paterno fanno pensare che fossero di discendenza longobarda oppure franca, arrivati sin qui alle porte di Roma, forse al seguito di qualche Imperatore o di altri e, successivamente, domiciliati nella stessa cittadina marinara. Vi è un altro documento farfense che riguarda un contratto attraverso il quale “l’abate Campone cedette ai figli di Ermengarda, abitante in Corneto, una terra nei confini della Toscanella, per averne in cambio altre nel territorio di Centumcellae, già appartenute a tale Odelperto, figlio di Magoberto”. Tutti nomi barbarici, non troppo differenti dai “confinanti”. Dato che il Monastero era “di legge longobarda”, il contratto detto era conforme ad essa, con la dichiarazione finale secondo cui “la prescrizione della medesima legge, che quanto il monastero riceveva era migliore della parte di cui faceva la cessione, così di questa assicurandosi la piena legalità”. Vi erano inoltre numerosi latifondi dove venivano svolte attività agricole, ma non mancava altresì la presenza di piccole industrie: la più importante era quella legata al mare, soprattutto grazie alla presenza del Porto. I lavoratori si avvalevano di forme d’associazionismo che raggruppavano professioni o mestieri. La popolazione andava a formare la comunità cittadina, sopra la quale era stabilita la sovranità dei Papi e, in determinati casi, quella degli Imperatori, fin quando potevano esercitarla anche a Roma.
Alcune informazioni sono state tratte dall’opera di Carlo Calisse “Storia di Civitavecchia”, Vol. I, Atesa Editrice, Bologna 1983, Cap.I, pp.85-86, Parte II. Foto: fonte http://www.minerva.unito.it/Theatrum%20Chemicum/MedioEvo/NM26QuattroStagioni.htm Note dell’autrice: L’immagine della natura nel Medioevo cristiano. Le quattro stagioni ed il lavoro dei contadini: il fluire del tempo è scandito dalla natura e dall’uomo. Tratta dall’Enciclopedia Scientifica “Liber de proprietatibus rerum” scritta dal frate francescano Bartholomaeus Anglicus, foglio 327, conservata nella Biblioteca Nazionale Francese). © Riproduzione Riservata |
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