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Pietro Ingrao e Renato Foschi

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Foschi Renato e Pietro Ingrao 1Carlo De Paolis traccia i contorni di un’importante vincolo di amicizia

CIVITAVECCHIA - Dallo storico Carlo De Paolis riceviamo e pubblichiamo: <<La recente morte di Pietro Ingrao mi sollecita a ricordarne la permanenza a Civitavecchia, da militare, nel corso della seconda guerra mondiale, e il vincolo di amicizia che maturò in quegli anni con il suo commilitone

e nostro concittadino Renato Foschi (Civitavecchia, 1919-2003). Renato, con il quale fui legato per molti anni da stima e fraterno affetto, oltre che dalla comune passione per le tradizioni della nostra città, e che fu anche il prezioso prefatore del mio Còre citavecchiese (Nuova Impronta, 1996 e 2000), più volte mi raccontò questi suoi trascorsi giovanili, che ritroverò poi descritti dallo stesso Ingrao in un brano di notevole interesse storico - anche locale - del suo libro Volevo la luna (Einaudi, 2006). Scrive il defunto ex presidente della Camera dei deputati: “Ero stato chiamato alle armi. Prima avevo sbrigato facilmente, con la gentile compiacenza di Natalino Sapegno (maestro di letteratura e nostro amico), il conseguimento della laurea in Lettere, con una tesi orale - questo ormai consentiva il tempo di guerra - sulle Myricae, che era il testo di Pascoli che m’incantava. Facilmente ebbi il 110 e anche la lode. Poi partii per il reggimento, che era l’81°fanteria. Vissi con sgomento la vicenda russa in un distaccamento che era di stanza a Civitavecchia [Caserma Stegher, Ndcdp]. Ero disperato. Ma anche tra quei soldati giovanissimi avevo trovato compagni “rossi”. Uno, Renato Foschi, forse cresciuto in un ceppo familiare di anarchici [in realtà la famiglia Foschi non aderiva alle idee anarchiche ma a quelle socialiste, Ndcdp], mi sorreggeva con un suo ottimismo ostinato e ridente, e giurava: creperanno, non la spunteranno sulla grande Unione Sovietica. Insieme frugavamo sugli odiati giornali fascisti ogni fuscello di speranza, e il più minuscolo segno di difficoltà dei nazisti nella loro avanzata. Leningrado assediata divenne per noi un’icona. Intanto in quel reggimento di fanteria vivevamo ore di istruzione militare assurda e inutile: sicuramente ridicola rispetto alle inaudite, incredibili invenzioni della guerra-lampo che trovavano ormai un’applicazione clamorosa sul continente. Fra l’altro giravamo ficcati in divise militari goffe e inutilmente calorose, che sembravano addirittura residui di magazzino dell’altra “grande guerra”. Nelle poche ore di libera uscita ci precipitavamo in casa di Foschi [in Via Granari, Ndcdp), prima di tutto per liberare il corpo da quegli indumenti militari assurdamente pesanti e pizzicosi: Renato si toglieva dal petto la maglia di rozza lana - ridicola in quel luglio -, la immergeva in una bacinella, che subito si riempiva di nugoli di pidocchi annaspanti. E rideva, Foschi, come a dire: vedi tu... Poi cercavamo di sanare con cibi di famiglia la grande fame che ci restava sempre dopo quel rancio disgustoso.” Anche nel primo dopoguerra Renato Foschi resterà fedele agli ideali del Partito Comunista Italiano e nel 1948 entrerà nella redazione del quotidiano romano di estrema sinistra Il Paese. Nelle liste del Pci sarà pure eletto consigliere comunale di Civitavecchia e farà parte di una delle amministrazioni frontiste guidate da Renato Pucci. Uscirà dal partito e lascerà la redazione del giornale nel 1956, dopo la brutale repressione sovietica dell’insurrezione ungherese. Si accosterà idealmente al socialismo democratico e ai movimenti di difesa dell’ambiente. Essendo laureato in Economia e Commercio, dal 1960 fino alla pensione si dedicherà - quale vincitore di concorso - all’insegnamento della Ragioneria e della Tecnica Bancaria nell’Itc “Guido Baccelli” di Civitavecchia.

Nella foto gentilmente concessa:

Civitavecchia 1949;  Renato Foschi (secondo da sinistra) ritratto al fianco di Pietro Ingrao (a destra) in una manifestazione cittadina del Pci

 

 

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